Domenica 8 ho partecipato con Salvo, Fabrizio e Gianluca al terzo censimento invernale dell’aquila minore in Sicilia. La giornata, che si era già svolta nel 2020 e nel 2022, è stata organizzata dal GAM (Gruppo Aquila Minore). Si è trattato di un’attività di citizen science finalizzata a stimare il numero degli individui di aquila minore e altri rapaci (biancone, albanella reale, smeriglio, ecc.) che trascorrono l’inverno in Sicilia. Dopo che Salvo aveva postato su un gruppo FB una foto di un’aquila minore nel cielo di Palermo, è stato contattato dagli organizzatori per prendere parte alla giornata.
La zona che ci è stata chiesta di coprire era la parte dei Monti di Billiemi che sovrasta la discarica di Bellolampo. Non il massimo, ma tant’è. Abbiamo raggiunto il luogo in bici.
Salire lungo via Leonardo da Vinci è stata un esperienza molto interessante. Il tragitto ti consente di vedere molto bene le testimonianze dell’Antropocene. La via, infatti, attraversa una vasta zona alla periferia ovest della città che fino al secondo dopoguerra era aperta campagna.
Alcune tracce di verde sono ancora ben visibili. La più grande è sicuramente la zona di Villa Turrisi, che da anni alcune organizzazioni della società civile tentano di trasformare in un parco urbano.
Per il resto, quello che veramente colpisce sono gli enormi palazzi che circondano la via, soprattutto nel quartiere di Borgo Nuovo. Possiamo chiamarla la frontiera del cemento, che è andata avanzando dal centro città nel corso del tardo ventesimo secolo. L’altra frontiera è stata quella dei consumi di massa, testimoniata lungo la via da una miriade di esercizi commerciali, dai più piccoli (bar e fruttivendoli) ai più grandi (il centro commerciale La Torre). In alcuni punti, i negozi mi hanno ricordato gli strip mall americani, ma in una versione micro.
Mentre salivo in bici, guardavo i rimboschimenti di pini che coprono molti dei rilievi montuosi che circondano la città.
Lentamente, la strada si è fatta più ripida e sono cominciati i numerosi tornanti che portano a Bellolampo.
Sulla destra vedevo la grande cava che si scorge da diversi punti della città. La sua vista mi ha ricordato il documentario di Edward Burtynsky “Antropocene,” che contiene diverse riprese impressionanti di cave. Nel documentario si parla dell’idea di terraforming applicata alla Terra, anziché a un pianeta da colonizzare nello spazio.
Man mano che salivo, il traffico sulla strada è diminuito notevolmente. Sono rimasti quasi solo i camion della RAP che salivano e scendevano dalla discarica. Ogni volta che ne passava uno lasciava dietro di sé una puzza dolciastra insopportabile. Lungo la strada ho visto spesso resti d’immondizia caduta dai camion, pressata sull’asfalto dal continuo passaggio dei mezzi. Anche il ciglio della carreggiata era pieno di scarti, spinti di lato dal vento. Sopra la mia testa, grandi gruppi di gabbiani volavano in direzione della discarica.
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Alla fine, dopo una lunga faticata (per me, almeno), siamo arrivati in un punto dove abbiamo lasciato l’asfalto per addentrarci tra i monti.
La strada sterrata che abbiamo imboccato era davvero panoramica. Sulla nostra destra c’era un rilievo, mentre sulla sinistra non c’era nulla; così lo sguardo poteva spaziare su tutto il golfo di Capaci e Montagna Longa.
Purtroppo, il cancello che dà accesso a questa parte del demanio forestale è sempre aperto, ed essendo la strada larga e non troppo dissestata, è percorsa abitualmente da macchine e motori. Chi va a farsi un picnic in mezzo al bosco e vuole posteggiare il più vicino possibile; chi s’infila tra gli alberi con le due ruote per fare enduro. Abbiamo incontrato entrambe le tipologie.
Salvo aveva deciso di dividere il nostro tempo in due punti. All’inizio siamo saliti su una collinetta che termina in un ammasso di rocce, proprio lungo la strada sterrata.
Questo cocuzzolo si affaccia sopra una sorta di azienda agricola di pastori—più che un’azienda, è il solito ammasso di lamiere che crea una sorta di stalla-ricovero per le mucche, oltre ai soliti abbeveratoi creati con vecchie vasche da bagno e contenitori vari. Il pastore era presente. Appena ci ha visto in cima alle pietre, ci ha urlato in malo modo, dicendo frasi del tipo, “Giusto giusto qua! Ma che state cercando!?.” Con molta pazienza, gli abbiamo detto che ci stavamo facendo un giro in bici e che ci saremmo mangiati i panini lì, per poi andare via. A malincuore, il pastore ha accettato la nostra presenza.
È sempre stupefacente constatare il livello di sospetto e controllo del territorio che c’è in molte zone della Sicilia. Dopo il nostro incontro col pastore, Gianluca ci ha raccontato che un suo amico era andato a fare dei rilievi in campagna per lavoro e aveva trovato una stradella bloccata da una macchina, il cui conducente gli ha impedito di passare.
Così abbiamo trascorso un paio d’ore sulla collinetta. Di fronte a noi c’era la discarica di Bellolampo, con le sue collinette artificiali di rifiuti coperti. A destra troneggiava il Monte Cuccio, il rilievo più alto tra quelli che circondano Palermo. A sinistra c’erano i Monti di Billiemi, che si estendono fino alla costa in direzione nord-ovest.
Mentre guardavamo in cielo, muniti di due binocoli, abbiamo parlato del più e del meno. A un certo punto, io ho accennato ai lavori che stanno facendo nel Parco della Favorita, alle falde di Monte Pellegrino. Si tratta di un disboscamento mirato a rimboschire con alberi diversi. Ho detto che la cosa mi pareva assurda e che ero stupito del fatto che non se ne parlasse. Secondo me questo è un esempio di come chi gestisce aree verdi in Sicilia spesso non sa “comunicare la natura” di cui si prende cura. E poi ci stupiamo se a Palermo la gente butta l’immondizia nei parchi. Rispetto ai lavori sul bosco in Favorita, mi rendo conto di partire da una posizione di pessimismo—temo che qualcosa andrà storto e che tutti quegli alberi saranno stati tagliati per nulla. Ma è anche il fatto stesso di tagliare alberi vivi che mi sembra assurdo.
Alla fine, in quel punto abbiamo visto solo una poiana. Molti, invece, i gabbiani e i corvi, che si nutrono di scarti.
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Nel pomeriggio ci siamo spostati, sempre in bici, sul Monte Castellaccio. Non ero mai stato lì. In cima al monte ci sono diverse strutture: la casetta di avvistamento incendi della Forestale, altri casotti utilizzati (credo) per rilevazioni meteo, tutti i tipi di antenne e parabole, pannelli solari, cavi, modem e telecamere. Insomma, è la tipica cima di monte cittadino che è stata completamente rovinata dalla tecnologia, come Monte Pellegrino o Monte Cuccio.
Almeno il punto è davvero panoramico. Si vede tutta la costa di Palermo in direzione est, fino a Capo Zafferano, e dall’altro lato il golfo di Capaci. È stato molto interessante vedere per la prima volta il Pellegrino di fronte e dall’alto, e anche relativamente da vicino. Immediatamente sotto di noi c’erano gli altri rilievi che compongono i Monti di Billiemi. Si tratta di una zona coperta fittamente da rimboschimenti di pino. Guardandoli, mi sono chiesto se qualcuno ne avesse mai raccontato la storia.
Di fronte a noi, in direzione nord, c’era un’altra grande cava. Vedere la striscia di nuda roccia in mezzo al verde scuro dei pini mi ha dato la sensazione di vedere un osso dentro una ferita aperta.
In cima tirava un vento di maestrale molto teso. Ormai era tardo pomeriggio e il sole basso dava a tutto un colore dorato.
Nell’aria limpida, abbiamo visto brillare le macchine posteggiate nel centro commerciale Poseidon dal lato di Capaci e nel centro Conca d’Oro dal lato di Palermo. I parcheggi sembravano pieni. È tempo di saldi.
Dalla cima del Monte Castellaccio abbiamo sentito, ma non visto, una poiana. Invece abbiamo visto bene un gheppio rimanere per lunghi tratti immobile in mezzo al cielo. L’uccello si trovava quasi alla nostra altezza, dal lato del golfo di Capaci. Era incredibile vedere come riuscisse a non muoversi nonostante il forte vento. Lo abbiamo ammirato per diversi minuti, finché non si è buttato in picchiata verso il suolo e non siamo più riusciti a distinguerlo.
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