Ieri ho seguito un webinar sul tema della responsabilità in montagna, organizzato dalla Scuola di alpinismo C. Bonomo del CAI di Palermo. L’ho trovato molto interessante. Gli organizzatori si sono soffermati sul concetto di responsabilità in termini di interpretazione giuridica, che sembra noioso ma non lo è, perché consente di applicare il concetto a diverse situazioni, dall’arrampicata all’escursionismo, andando oltre le polemiche spesso sterili su chi ha il diritto o l’autorizzazione ad accompagnare, dietro cui si celano anche interessi economici. Riassumo qui i tratti salienti della discussione.
Il responsabile di un gruppo è la persona che per esperienza, competenza e capacità è in grado di portare un gruppo di persone in un luogo dove queste da sole non andrebbero, per fare un’attività che da sole non farebbero. Il responsabile possiede quindi delle conoscenze teoriche e pratiche che gli altri non hanno, su determinati luoghi e attività. Questa situazione si applica non solo a corsi e visite guidate a pagamento, ma anche alla semplice uscita tra amici. Se io porto dei miei amici in un posto dove loro non sono mai stati e poi succede un guaio, io posso essere ritenuto penalmente responsabile.
L’andare in montagna dovrebbe essere caratterizzato da un obbligo d’informazione reciproca. Io devo informarti di quello che farai e dei rischi che ci possono essere. Tu devi informarmi di tutto quello che ti riguarda che può essere utile a garantire la tua sicurezza, e di conseguenza anche quella degli altri. Quando si va in montagna deve esserci uno spirito di leale collaborazione tra chi accompagna e chi si fa accompagnare. Su questo punto durante il dibattito ho fatto una domanda, visto che molto spesso mi è capitato di vedere come chi partecipa alle escursioni lo fa senza avere letto con attenzione la descrizione dell’evento, o non tenendo conto della propria forma fisica. Dalla discussione è emerso che, purtroppo, anche se la colpa iniziale è dei partecipanti, una volta che si cammina deve essere sempre l’accompagnatore a gestire la situazione, facendo attenzione a chi dà segni di stanchezza e difficoltà. In questi casi è molto utile la presenza di più persone in grado di seguire il percorso – più “guide” – in modo che, se necessario, una rimanga indietro o addirittura riaccompagni chi non ce la fa.
Tornando al discorso di cosa significa responsabilità, se succede un guaio la colpa si configura quando vengono meno i principi, riconosciuti in ambito giuridico, di perizia, diligenza e prudenza. Se uno non conosce le norme, anche non scritte, che impone una pratica, o non sa usare un’attrezzatura, si configura la colpa di imperizia. Se uno va contro le norme di un’attività, ad esempio se non si informa sul percorso, se ignora il meteo o non verifica che i partecipanti siano ben attrezzati, si configura la colpa di negligenza. Se uno non considera le capacità del gruppo o sceglie un itinerario troppo difficile, allora pecca di imprudenza.
Un’altra cosa interessante dell’incontro è stata la discussione con alcuni membri del Soccorso Alpino, che hanno parlato delle situazioni più comuni in cui devono intervenire. Per fortuna di solito non si tratta d’incidenti gravi. I casi più comuni sono le persone che si perdono perché non conoscono il percorso o usano app che scaricano i telefonini più velocemente del previsto; il calare del buio, che ovviamente è connesso all’ignoranza del percorso (delle distanze e dei tempi che servono per percorrerlo); gli incidenti causati dalle calzature sbagliate (scarpe da tennis, sandali, infradito); infine la sottovalutazione del clima, sia freddo che caldo, che porta all’esaustione, soprattutto quando si sottovaluta anche la quantità di cibo e acqua necessari.
Detto questo, la montagna, come qualsiasi altro ambiente, non è un luogo dove è possibile garantire la completa assenza di rischi. Quello che si può fare è prendere tutte le dovute precauzioni.
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