Era stata una giornata faticosa, e la pace è arrivata solo quando mi sono seduto attorno al fuoco.
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Un paio di giorni fa ha iniziato a nevicare sopra i mille metri. Così ieri abbiamo deciso di salire in montagna, sulle Madonie. Ci siamo diretti verso Castelbuono, famosa, tra le altre cose, per il castello dei Ventimiglia, i panettoni Fiasconaro, e il festival musicale Ypsigrock. Dopo avere attraversato il paese, siamo saliti verso Piano Sempria, dove si trova il Rifugio Crispi del Club Alpino Siciliano. La neve sulla strada per il rifugio era ancora quasi immacolata, segno che pochissime macchine erano già salite fin lì.
Quando siamo scesi dalla macchina c’erano zero gradi. Ci siamo subito incamminati.
Oltrepassato il Crispi, abbiamo iniziato a salire lungo i tornanti che portano al bivio per Piano Pomo e Croce dei Monticelli. È un tratto ripido, quindi procedevamo lentamente. Mettendo un piede davanti all’altro, ho riascoltato, dopo un anno, il suono morbido dei passi che schiacciano la neve. La pendenza della salita mi ha subito fatto riscaldare. Respirando con la bocca aperta, ho sentito l’aria gelida entrarmi in gola con dolore, così mi sono coperto il viso con lo scaldacollo.
Lungo il sentiero abbiamo trovato un punto dove la neve al suolo era assente – un grosso spazio ovale di nuda terra in cui con ogni probabilità aveva dormito un daino mentre nevicava. L’animale si sarà ricoperto di neve, impedendole di depositarsi al suolo. Durante l’escursione abbiamo visto un gruppo di questi ungulati che correva leggero tra gli alberi imbiancati. Vederli in mezzo alla neve è stato più bello del solito. È tristissimo pensare che in questo momento i daini stanno venendo abbattuti dall’Ente Parco. Si parla addirittura di eradicare del tutto la specie.
Arrivati al bivio per Piano Pomo e Croce dei Monticelli, abbiamo ammirato il panorama verso est che si gode in quel punto. Sia la zona di Pizzo Canna che quella di Pizzo Catarineci erano spruzzate di un leggero velo bianco.
Abbiamo imboccato il sentiero per Croce dei Monticelli. Subito la neve si è fatta molto più alta. Era una neve appena caduta e farinosa, in cui si affondava molto. Lungo il percorso abbiamo visto degli scorci molto belli della costa tra gli alberi. Il cielo in quel momento era ancora quasi tutto azzurro.
Superato Cozzo Luminario, ci siamo trovati all’inizio della Valle Intera, una delle antiche via d’accesso all’altopiano dove si trova Pizzo Carbonara, la seconda cima della Sicilia dopo l’Etna.
Nella valle, il bosco piano piano si dirada, lasciando spazio ai rilievi rocciosi tipici delle Madonie. In questo ambiente più aperto, il forte vento della giornata ha iniziato a farsi sentire. La neve al suolo era stata modellata dal vento in delle onde concentriche sinuose che il basso sole invernale faceva risaltare nitidamente.
In altri punti, il sole proiettava le ombre degli alberi spogli sulla neve, creando delle trame sottili e delicate.
L’unico altro rumore oltre a quello del vento era il cinguettio sporadico degli uccellini. A un certo punto abbiamo visto una cincia bigia che saltava velocemente da un ramo all’altro, e ci siamo chiesti che piumaggio dovesse avere per non sentire freddo. La temperatura in quel momento era -2 gradi.
Abbiamo risalito la valle fuori sentiero, in mezzo ai faggi e poi ai pini che ci sono in quella zona. L’andare era spesso faticoso per la quantità di neve, ma almeno non eravamo vincolati a un percorso adatto alle ciaspole.
Siamo arrivati fino alle pendici di Piano Catagiddebe, il primo pianoro roccioso e quasi privo di alberi che s’incontra salendo verso l’altopiano del Carbonara. Lì abbiamo deciso di proseguire di traverso in direzione nord, verso un acero gigante che si trova oltre Croce dei Monticelli, alla base di Pizzo Costio. Il terreno adesso era composto dalle tipiche roccette calcaree delle Madonie. Camminarci sopra è già complesso nella bella stagione, figuriamoci quando sono coperte di neve e ghiaccio.
Bisognava fare attenzione a dove mettere i piedi. In più il vento in quel punto era davvero forte, perché scendeva dall’altopiano. Spesso le folate sollevavano la neve farinosa creando dei turbinii che ci avvolgevano e ci costringevano a ripararci il viso.
Arrivati all’acero, che si trova dentro una grande dolina, abbiamo approfittato della (quasi) assenza di neve per “pranzare” molto velocemente. La temperatura in quel punto era di -3 gradi. La mia pizza sembrava uscita dal freezer. Poi ci siamo incamminati lungo la strada del ritorno.
C’erano ancora un paio d’ore di luce, e non volendo sprecarle, abbiamo deciso di rimanere un altro po’ in zona e di accendere un fuoco per scaldarci. Abbiamo dovuto trovare il punto giusto e soprattutto la legna adatta. Il primo tentativo è stato fallimentare. Ma grazie allo spirito positivo di uno di noi, abbiamo riprovato e alle fine ci siamo riusciti.
Mentre ammiravo le fiamme arancioni che si stagliavano sul bianco della neve, ho fatto notare che ovviamente accendere un fuoco in un parco è vietato. Un regola del genere, però, era del tutto assurda in una giornata come quella.
Il rumore del vento tra le fronde degli alberi e lo scoppiettio della legna hanno creato un’atmosfera bellissima. Stare seduti attorno a un fuoco in mezzo alla neve è stato un momento davvero intenso.
Non so perché, ma a un certo punto mi sono messo a pensare ai lupi. Così abbiamo discusso un po’ di come cambierebbe la nostra percezione della montagna se sapessimo che in giro c’erano anche loro. Difficile da concepire in astratto. Ma eravamo d’accordo sul fatto che l’esperienza di camminare per boschi e valli sarebbe stata molto più emozionante.
Saremo stati un’oretta attorno al fuoco. Quando ha iniziato a calare la sera, abbiamo ricoperto quel poco di legna che restava accesa e siamo andati via.
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