Da alcune settimane, l’Ente Parco delle Madonie ha iniziato ad abbattere i daini presenti all’interno dell’area protetta. Per l’Ente, il loro numero eccessivo causa gravi problemi alla flora del parco e alle coltivazioni degli agricoltori.
Legalmente, questi abbattimenti sono giustificati dal fatto che il daino è classificato in Sicilia come un animale alloctono, cioè una specie aliena che non appartiene al territorio (ISPRA, 2013, “Linee guida per la gestione degli ungulati,” e D.M. 19 gennaio 2015). In questi casi, è prevista anche l’eradicazione della specie. Non è chiaro se le autorità siciliane vogliano arrivare a tanto.
Ma i daini non sono alloctoni. Sia loro che i cervi, i loro “cugini” più grandi, sono stati presenti in Sicilia per millenni, prima di estinguersi per mano degli esseri umani (il comportamento di daini e cervi è molto simile dal punto di vista ecologico).
Vediamo di ripercorrere le tappe principali di questa presenza grazie al contributo (qui riadattato) di Tommaso La Mantia e Zeila Cannella nell’Atlante della Biodiversità della Sicilia (ARPA Sicilia, 2008).
Preistoria
Burgio e colleghi (2006) hanno accertato la presenza del cervo in Sicilia dal Paleolitico superiore (40.000–10.000 avanti Cristo circa) al Neolitico europeo (7000–2200 avanti Cristo). Per Calafato e colleghi (2001), la presenza del cervo è attestata in diversi luoghi dell’isola dai resti paleontologici e dalle raffigurazioni rupestri del Mesolitico (8000 avanti Cristo circa) e dei periodi successivi.
La caccia al cervo sta alla base delle prime espressioni artistiche ritrovate in Sicilia, ad esempio i graffiti della grotta del Genovese a Levanzo (10.000–6000 avanti Cristo circa) (Graziosi, 1962; Torre, 1980; Tusa, 1990; Villari, 1995, 1996). Per Burgio e colleghi (1998), resti di cervi sono presenti dall’Epipaleolitico (Mesolitico) al periodo Romano.
Dal 2000 avanti Cristo al settimo secolo dopo Cristo
Secondo Pace (1958), le testimonianze archeologiche provano che daini e cervi erano presenti in gran numero nei territori occupati da Sicani (2000–1000 avanti Cristo circa) e Siculi (1200–400 avanti Cristo).
Villari (1996) parla di migliaia di resti di cervo esaminati nella zona di Campobello di Mazara risalenti al 400 avanti Cristo.
Per il daino, Burgio e colleghi (1998) riportano due segnalazioni certe databili tra il 200 avanti Cristo e l’anno zero a Palazzo Sclafani e tra il 500 e il 600 dopo Cristo a Catania.
Undicesimo e dodicesimo secolo
Durante il periodo Normanno (1061–1198), numerosi sono i riferimenti agli ungulati, soprattutto al divieto di abbattere daini e cervi (Von Falkenhausen, 1978; Corrao, 1994). I Normanni intervengono favorendo la conservazione e l’espansione dei boschi dell’isola. Bresc (1983) scrive di zone selvagge dove gli animali possono trovare nascondiglio e alimentazione.
Le ordinanze reali destinate a proteggere gli animali, ma anche i contratti dei cacciatori, testimoniano la presenza di daini e cervi in ambiente naturale (non solo nelle tenute di caccia reali). Bresc, ad esempio, cita un’interdizione di cacciare il daino nella Valle di Girgenti (Agrigento) da maggio ad agosto e, solo nelle tenute di caccia, durante tutto l’anno.
Anche l’archeologia testimonia questa presenza. Resti di daino e cervo sono presenti, ad esempio, nel sito di Brucato, sul versante occidentale di Monte Castellaccio, a nord-est di Monte San Calogero, sopra Termini Imerese (Burgio e colleghi, 1988).
Tredicesimo secolo
Durante la dominazione angioina (1266–1282), Carlo I vieta la caccia a daini e cervi, anche al di fuori delle riserve, nei mesi di aprile, maggio e giugno, periodo durante il quale era anche vietato vendere le pelli di questi animali. Durante questo secolo, Burgio e colleghi (1988) segnalano la presenza di resti di daino nel sito di Calathamet, vicino Castellammare del Golfo.
Quattordicesimo secolo
Bresc (1983) riporta il caso di dodici cacciatori che il 13 ottobre 1311 lasciano Palermo per cacciare daini con la rete in tutta la Sicilia. All’epoca, i cacciatori di professione si spostavano per adempiere ai contratti e mandare ai loro finanziatori le centinaia di bestie previste. La carne di daino e cervo era poi messa in vendita sui mercati di Palermo e Catania, come fanno fede le liste dei prezzi tassati in quei mercati.
Per quanto riguarda i daini, Burgio e colleghi (1988) indicano ritrovamenti a Palazzo Sclafani, risalenti al 1300–1400, e di nuovo a Brucato, databili al 1300. Anche Swrdine (1991), citando Pesez, scrive che la presenza di daini e cervi nella Sicilia medievale è attestata dai reperti fossili rinvenuti a Brucato.
La Mantia e Cannella (2008) riportano il dato inedito di una compravendita di pelli di daino avvenuta nel 1326, documentata nell’Archivio di Stato di Palermo.
Quindicesimo secolo
Dal Liber de secretis di De Barberis (citato da Peri 1988) apprendiamo che, alla fine del quattrocento, la gabella dei daini a Palermo rendeva 200 onze; il libro spiega anche come “in antico tutte le genti di qualsiasi dignità solevano portare calzari e stivali di pelli di daino.”
Nel 1468, nel territorio di Pettineo (provincia di Messina), viene riportata la condanna di un tale Joanni Pilusu, il quale aveva ucciso illegalmente un daino (dato tratto dall’Archivio di Stato di Palermo, riportato in La Mantia e Cannella [2008]).
In riferimento al ‘400, Mongitore (1742–43) parla delle tecniche di caccia al cervo utilizzate all’epoca e del prezzo della carne di questo ungulato al mercato di Catania. Riggio (1976) conferma questa testimonianza con un’informazione tratta da Cumin (il periodo non è specificato, ma La Mantia e Cannella [2008] ritengono si tratti del 1400): “La carne di grossi erbivori come il cervo e il daino veniva venduta sui mercati delle principali città e specialmente Catania.”
Chiaramonte Bordonaro (1947) specifica che, stando a Mongitore, alla metà del 1400 i cervi erano così abbondanti che la loro carne si vendeva a bassissimo prezzo.
Sedicesimo secolo
Sempre Chiaramonte Bordonaro (1947) scrive: “Dal Mongitore sappiamo che i feudi di Agnone e Murgo furono luoghi particolari per la caccia dei cervi, e dal Fazello, nella sua opera De rebus siculis, pubblicata nel 1560, che al suo tempo di cervi vi era gran copia in Madonia.”
Napoli (1932) nomina la presenza di una località nota nel ‘500 come “cala di lu dainu” nei dintorni di Mazara del Vallo (!). Nel 1535, a Carini, si parla di una pelle di daino (dato riportato in La Mantia e Cannella [2008]). Minà Palumbo (1868), riprendendo Massa (1709), dice che nell’anno 1588 i daini abbondavano nel bosco di Monte Mimiani, una delle poche oasi forestali della provincia di Caltanissetta.
Diciottesimo secolo
Un secolo e mezzo dopo, una citazione del 1756 riportata da Tirrito (2002) conferma che i daini sono ancora presenti sul Monte Mimiani: “Verso ponente resta il delizioso bosco di Ulivi, detto di Mimiano, feracissimo di daini, che vanno a truppe.”
Per il ‘700 disponiamo anche dell’opera di Mongitore (1742–43) che dedica ben sette pagine ai cervi, testimoniandone la frequenza. Mongitore ne indica la presenza sia sull’Etna che sulle Madonie. Egli riporta inoltre quanto asserito da Fazello, e cioè che la specie formasse popolamenti talmente grandi da originare il toponimo Mandra di Cervi.
Stando a La Mantia e Cannella (2008), è probabile che daini e cervi comincino a estinguersi in questo secolo.
Nel 1789, Galanti (riportato in Sardina [1991]) osservò che in tutte le province vivevano ancora daini e altri ungulati, ma che il loro numero diminuiva a causa dei progressi dell’agricoltura e perché la caccia non era più proibita in primavera, quando molti animali danno alla luce i piccoli.
Secondo Sardina (1991), il processo di estinzione della grossa selvaggina nell’Italia meridionale è un effetto diretto dell’abolizione dei privilegi sulla caccia e della deforestazione operata nel 1800.
Diciannovesimo secolo
All’inizio dell’800, daini e cervi sono ancora presenti in alcune zone della Sicilia. Parlando dell’Etna, Galvagni (1837–39) afferma che il daino si trova “in picciolo numero in quei di Maletto di Bronte,” mentre per il cervo cita “la denominazione di costa dei cervi che ad una regione selvana fin oggi si dà.”
A proposito di Erice, nel 1873, Castronovo scrive: “Così i daini sparirono dai nostri boschi.” Nelle sue opere più mature, Minà Palumbo (1858) considera estinti sia daini che cervi.
Nell’800, i Borboni tentano di ripopolare i loro siti reali con ungulati. Stando a La Mantia e Cannella (2008), sono però pochi i riferimenti espliciti a reintroduzioni.
Calderone (1892) riporta che i primi due siti furono Tordiepi e Parco Vecchio, a cui si aggiunsero Pianetto e Rebuttone. In questi luoghi, re Ferdinando IV fece trasportare dei daini dalla Calabria.
Come sostengono La Mantia e Cannella (2008), “probabilmente le uniche introduzioni sono quelle successive alla cacciata dei Borboni da Napoli e prima del loro rientro.” Questi interventi non riescono però a impedire l’estinzione degli ungulati provocata dalle pressioni antropiche — soprattutto caccia e agricoltura — sugli ecosistemi dell’isola.
Ventesimo secolo
Nel 1978, sette esemplari di daino provenienti dalla Calabria (o da Villa Giulia a Palermo) furono immessi in un recinto della Forestale a Piano Zucchi sulle Madonie. Stando all’Ente Parco, nel 1996, la caduta di un masso danneggiò la recinzione, facendo scappare i daini. Gli animali presenti oggi sono i discendenti di quel nucleo.
Come si evince da questa storia, il daino è stato assente in Sicilia solo per un secolo e mezzo, dopo essere stato portato all’estinzione dalla mano umana. La specie non è quindi alloctona. In realtà, anche l’ISPRA sostiene che i daini sono para-autoctoni, ovvero naturalizzati, nell’Italia continentale, come si vede in questa tabella.
Non è chiaro come mai la Sicilia non sia inclusa in questa classificazione, considerato che i lavori di Masseti e colleghi (1996, 1999; Masseti e Rustioni 1988) suggeriscono che i daini sopravvissero fino alla fine dell’ultima epoca glaciale (circa 11.700 anni fa) in una serie di rifugi, inclusa la Sicilia (durante le epoche glaciali, i daini erano diffusi in tutta Europa).
Dopo la fine delle ere glaciali, è possibile che la specie si sia estinta sull’isola. Questa ipotesi è dovuta al fatto che non abbiamo prove archeologiche di una presenza continua; ovviamente, potremmo semplicemente non avere scoperto i siti che attestano questa presenza. Ma come spiegato prima, ritroviamo i daini già dal 2000 avanti Cristo in poi. L’ipotesi in questo caso è che gli animali siano stati riportati sull’isola dalla vicina Grecia, dove sopravvissero ininterrottamente dal tardo Pleistocene all’Olocene (Sommer 2020).
Non si può quindi sostenere che i daini vanno eliminati dalle montagne siciliane in quanto specie aliena. Un discorso a parte è quello della diffusione di un animale (para-autoctono) che non è più sottoposto a predazione (anche il lupo è stato portato all’estinzione).
È possibile che il numero di daini vada controllato periodicamente tramite abbattimenti selettivi, ma la specie deve essere protetta. I daini sono tra i grandi mammiferi che storicamente hanno abitato le montagne dell’isola, e la loro presenza contribuisce a rinaturare questi ambienti.
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