Qualche giorno fa sono andato con Peppe al Bosco del Vicaretto, una querceta molto estesa che si trova sopra Castelbuono, sulle Madonie. Il giorno prima le previsione meteo erano cambiate in continuazione, passando dalla pioggia al tempo asciutto e viceversa. In base a quelle della sera avevamo deciso di andare. Poi la mattina quando mi sono svegliato erano previsti di nuovo temporali; così stavamo per rinunciare. Alla fine, intorno all’orario a cui saremmo partiti, la previsione era di nuovo di tempo asciutto, quindi ci siamo messi in macchina pensando “o la va o la spacca”.
Per quasi tutta la giornata è andata. Il cielo è stato sempre grigio e nuvoloso. C’era anche molto vento. Ma non è caduta nemmeno una goccia. Poi, poco prima del crepuscolo, abbiamo sentito un tuono in lontananza. “Che dici, ricontrolliamo le previsioni per vedere se sono cambiate?” ho detto a Peppe. “Sì dai”.
Le previsioni erano in effetti cambiate. Adesso davano di nuovo temporali con precipitazioni consistenti già dalle 18, ed erano le 18 passate. Abbiamo intrapreso subito la strada del ritorno.
Dopo pochi minuti è calato il buio e abbiamo acceso le torce frontali. Poi ha iniziato a piovigginare e ci siamo messi le giacche impermeabili. Tutto intorno sentivamo ancora il vento che soffiava tra gli alberi, ma ormai il bosco era diventato invisibile, parte della notte. Solo i tronchi di fronte a noi, illuminati dalle torce, continuavano a esistere. Quando la pioggerella si è fatta più forte, mi sono fermato per coprire lo zaino con la sua cover.
Poi sono cominciati i lampi. Il primo ci ha colto di sorpresa. Non ci siamo resi conto di cosa fosse accaduto. Banalmente, è sembrato come se qualcuno avesse scattato una fotografia con il flash, ma un flash così potente che il bagliore è stato ovunque, non veniva da una direzione ben definita. Ci ha avvolti. Per un attimo siamo stati dentro il lampo.
Camminavamo in direzione di Pizzo Canna e dell’omonimo vallone. Sopra di essi si ergevano le Alte Madonie, tra cui Monte Ferro (1906 m) e le creste del Monte Quacella. Di fronte a noi non c’erano paesi o case di campagna. Non c’era nessuna luce elettrica. Tutto il territorio era avvolto nel buio. Quando c’era un lampo, per un attimo tutto era illuminato. Non a giorno, ma da una luce a metà tra il bianco della luna e il viola. L’effetto era scioccante. D’improvviso comparivano i monti e la trama del bosco. Mentre prima sembrava di camminare in un mondo piccolo, ridotto al cono di luce delle torce, tutto a un tratto apparivano davanti a noi le montagne, enormi. Il loro profilo segnava il confine tra il grigio antracite del cielo e il nero di seppia della terra. Un attimo dopo tutto era scomparso, avvolto di nuovo in un’oscurità resa ancora più intensa dal breve momento di luce.
Credo che la stranezza di queste sensazioni fosse dovuta, come sempre, alla nostra disabitudine nei confronti della natura. In una società urbana e ricca, praticamente nessuno si è mai trovato in mezzo a un bosco completamente al buio durante un temporale. Siamo abituati a vedere i lampi in città, nel riquadro delle nostre finestre, con all’orizzonte palazzi illuminati dall’elettricità. Noi invece ci trovavamo nel buio pesto e nel mezzo di una fitta querceta.
Lungo il sentiero abbiamo incontrato diverse mucche, spesso sedute. Sembravano aspettare in assoluta tranquillità che passasse il temporale. Non avevano fretta di tornare alla macchina. Una lepre è finita casualmente nel fascio di luce di Peppe. Sorpresa, per un attimo è rimasta immobile, gli occhi che luccicavano al buio. Poi è fuggita. Più in là, una buffa (un rospo) procedeva lentamente sul terreno. Lei sicuramente godeva per la pioggerella.
Arrivati alla macchina, ci siamo tolti gli zaini in un attimo e siamo entrati nell’abitacolo. I profumi del bosco hanno lasciato tristemente il posto agli aromi artificiali della plastica. Cinque minuti dopo, scendendo verso Castelbuono, si è messo a diluviare.
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