La Mufara è una montagna nel cuore delle Madonie. I suoi fianchi sono ricoperti da un fitto bosco di faggi che arriva fino a 1800 metri d’altezza, una rarità per la zona, dove quasi tutti i monti sono stati disboscati secoli fa.
La Mufara, inoltre, si trova all’inizio delle creste della Quacella, un ambiente montano unico in Sicilia, ricco di pinnacoli, canaloni e ghiaioni, che ricorda le Dolomiti e fu descritto da Lojacono Pojero, famoso naturalista dell’Ottocento, come le “Alpi di Sicilia”.
Nel corso degli anni, la Mufara è stata ferita dagli impianti sciistici di Piano Battaglia, che hanno lasciato ampie cicatrici sulla sua faggeta. Come se ciò non bastasse, nel 2020 sulla sua cima è stato costruito un grande telescopio, che ostacola l’accesso alla sommità del monte. Adesso si vuole costruire un intero complesso di ricerca, con un altro telescopio, degli uffici, e persino un piazzale.
Riteniamo un grave errore costruire altre strutture artificiali in un ambiente naturale come quello della Mufara. “Perché?”, diranno alcuni. Perché certi luoghi vanno protetti dall’invasione umana affinché tutti gli esseri viventi – inclusi noi stessi – possano goderne appieno.
Proteggere i paesaggi montani dalle costruzioni artificiali è importante. La montagna è uno degli ultimi luoghi che offre ambienti incontaminati, dove chiunque ne senta il bisogno può sperimentare i grandi spazi, i silenzi e i ritmi della natura. Il valore del paesaggio integro – libero da strutture in cemento, acciaio e plastica – risiede proprio in questa capacità di stimolare un rapporto sano tra l’essere umano e la natura.
Questo ce lo dice la scienza. Sono infatti ormai numerosi gli studi che dimostrano come andare in natura e in montagna faccia bene. Queste attività aiutano a sviluppare un rapporto sano con l’ambiente – la cosiddetta ecophilia. Questa “amicizia” per gli ecosistemi sta alla base della protezione del pianeta.
Noi diciamo “sì” a questa protezione. Chi sostiene che un altro telescopio sulla Mufara non farà danni, invece, dice “no”. L’ennesimo “no” alla conservazione del paesaggio. Dove ci hanno portato tutti questi “no”? Basta accendere la televisione, andare su internet o sfogliare un giornale per accorgersene: caos climatico, sesta estinzione di massa, contaminazione irreversibile dei terreni, eccetera, eccetera. Anche questo ce lo dice la scienza – altro che ambientalisti stupidi e ignoranti, come ha scritto qualcuno.
Piano Battaglia, dove sorge la Mufara, è una testimonianza di questa storia di degrado ambientale: un luogo già in parte rovinato da strade, villette e piste da sci. Dopo 70 anni di “sviluppo” della zona, il fallimento di queste scelte è davanti agli occhi di tutti, o almeno di chi vuole vedere la realtà senza nascondersi dietro vecchi slogan. Il Parco delle Madonie è stato creato nonostante questi errori – grazie al fatto che in passato non è stato “sviluppato” tutto.
Chi sostiene la costruzione delle nuove strutture sulla Mufara porta due argomenti a supporto della sua posizione. Il primo è quello delle “ricadute sui territori”. Questa espressione è così vaga da essere quasi incomprensibile.
La seggiovia costruita sul fianco della Mufara qualche anno fa, che è costata altro cemento e alberi tagliati, non funziona e non sta avendo nessuna ricaduta sui territori. La colpa non è della politica, come si ripete ossessivamente; la politica viene anzi cercata per avere contratti di manutenzione. La colpa è della mancanza di neve, che rende la seggiovia non remunerativa. Se accade sulle Alpi, figuriamoci in Sicilia. L’inverno 2021-2022 è stato eccezionale, ma i due inverni precedenti sono stati praticamente senza neve, non dimentichiamolo.
E la seggiovia è pur sempre un impianto turistico. Quali sarebbero le ricadute sui territori di un nuovo telescopio? Quali i vantaggi che il territorio non può permettersi di perdere? Il telescopio che è stato installato sulla Mufara nel 2020 non ha impedito alla Fondazione Gal Hassin di Isnello di finire sul lastrico. Qualcosa non torna. Forse le ricadute economiche di queste strutture altamente tecnologiche sono minime e saltuarie? Anche in questo caso, sono necessari soldi pubblici per andare avanti.
Il secondo argomento portato a supporto della costruzione del nuovo complesso riguarda la ricerca scientifica. Il progetto è di altissimo livello, quindi va approvato. Il nuovo telescopio servirà a studiare gli asteroidi. Secondo alcuni, addirittura ci proteggerà dagli asteroidi. Al di là di queste parole un po’ retoriche – nessuno può sostenere che oggi siamo in grado di proteggerci dagli asteroidi – sembra che solo chi è a favore dell’opera sia dalla parte della scienza. Non è così.
Il punto è che esistono tanti tipi di scienza, e certe volte anche la scienza ha effetti negativi. Un nuovo complesso astronomico non è quindi automaticamente una cosa giusta. Ogni caso va valutato empiricamente, senza ricorrere a scorciatoie ideologiche del tipo “civiltà contro oscurantismo”. L’astronomia guarda il cielo. Noi guardiamo la Terra, perché abitiamo su questo pianeta. Le scienze della terra ci dicono che il pianeta muore, e noi vogliamo fare qualcosa per impedirlo. Lo facciamo anche proteggendo la Mufara.
Chi sostiene il nuovo complesso ricorda che anche l’attuale telescopio fu contestato, e che i giudici alla fine lo approvarono perché le regole del parco consentono la costruzione di qualsiasi tipo di struttura di ricerca (non solo di quelle connesse alla tutela ambientale). Nelle loro argomentazioni, i giudici affermarono che la ricerca scientifica svolge una funzione pubblica inerente ai valori della Costituzione. L’Articolo 9 della carta, infatti, dice che “la Repubblica promuove … la ricerca scientifica e tecnica”.
Qui la “funzione pubblica” della ricerca è intesa in un senso molto ampio. Bisogna però tenere presente che la ricerca scientifica è in realtà quasi sempre una cosa per soli addetti ai lavori. Il nuovo complesso astronomico rischia di essere un luogo costruito a uso degli esperti che priverebbe la collettività di un bene comune—la cima della Mufara.
Inoltre, l’Articolo 9 della Costituzione dice anche che la Repubblica “tutela il paesaggio … della Nazione”. Non solo, lo scorso febbraio questo articolo è stato modificato per includere la tutela dell’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, “anche nell’interesse delle future generazioni.” Questa modifica ha una portata storica. Di fronte a essa, dobbiamo chiederci: quanto durerà l’impatto della nuova costruzione sul paesaggio della Mufara? La risposta è: per generazioni, praticamente per sempre.
Lascia un commento