Oggi sono andato a correre nella Riserva di Monte Pellegrino, a Palermo, dove ho potuto vedere di prima mano gli effetti che le restrizioni anti-COVID stanno avendo sul rapporto tra cittadini e natura.
La Sicilia attualmente è classificata come zona gialla in base alle regole dell’ultimo DPCM, fatto che impedisce di lasciare i confini del proprio comune. Per lo stesso motivo, molti esercizi commerciali sono chiusi, soprattutto nel fine settimana, quando le persone hanno più tempo libero.
Da anni ormai vado a correre a Monte Pellegrino con una frequenza quasi settimanale. Di solito non incontro quasi nessuno; al massimo mountain bikers, ma persone a piedi davvero poche. Da quando sono iniziate le restrizioni, invece, gli incontri si sono fatti molto più frequenti. Oggi, salendo per il sentiero di Pizzo Rufuliata, ho incrociato una decina di adolescenti in gruppo, una famiglia con bambini, e una coppia con il loro cane. I ragazzini facevano un gran casino, urlando e ridendo tra di loro. Erano vestiti come se fossero in centro città. A uno dei belvedere lungo la Costa Finocchiaro, sul pianoro centrale del monte, ho incontrato una quindicina di ventenni, intenti a scattare foto e cercare d’identificare gli elementi del panorama.
Quando sono sbucato sulla strada asfaltata, ho notato subito come ci fosse molto più traffico del solito. Dal lato del Santuario di Santa Rosalia ho visto decine di macchine posteggiate. Almeno i venditori della piazza saranno stati contenti. Proseguendo lungo la strada, ho trovato numerose automobili lungo uno degli accessi dei sentieri del pianoro (sicuramente appartenenti al gruppo che avevo incontrato poco prima). Soprattutto il quel punto, la vista di così tante macchine stonava completamente con il bosco tutto intorno. Lungo la strada, sono passati anche molti motociclisti alla guida di moto rumorosissime, il cui suono rimbombava per tutto il monte.
Mi chiedo dove sarebbero andate tutte queste persone se fosse stato possibile uscire dal comune o acquistare nei negozi. Un’ipotesi—chiamiamola quella del bicchiere mezzo pieno—è che sarebbero andate a fare le stesse cose ma fuori Palermo. L’altra ipotesi—quella del bicchiere mezzo vuoto—è che avrebbero fatto altro, che la loro presenza nella riserva fosse solo un ripiego. A giudicare dall’aspetto di molti (scarpe da tennis, giubbotti da città), tendo a propendere per la seconda ipotesi. Penso che una giornata come quella di oggi sia un buon esempio di come nella nostra società la natura è ancora solo un ripiego, qualcosa a cui si pensa solo se non c’è altro da fare tranne starsene a casa. L’ultima spiaggia (o montagna, nel caso specifico).
Un’altra cosa negativa che ho constatato negli ultimi tempi è l’aumento dei rifiuti dopo il passaggio delle persone. I cumuli d’immondizia lasciati dai gitanti della domenica nelle aree attrezzate della riserva non sono certo una novità. Ma di solito sentieri e mulattiere sono abbastanza puliti (fatta eccezione per le cartacce degli snack energetici lasciati da alcuni ciclisti e corridori). Da quando ci sono i lockdown e le persone sono aumentate, però, trovo rifiuti anche in questi punti.
Volendo essere un minimo ottimisti, possiamo sperare che questa frequentazione della natura, tra il casuale e il forzato, contribuisca comunque a cambiare alcune delle persone che la stanno praticando. C’è la possibilità che dentro di loro resti qualcosa di questa nuova routine, anche dopo che la pandemia sarà finita e torneremo a poterci muovere liberamente.
Resta però il problema di come cambiare certi comportamenti sbagliati prima e al di là della frequentazione della natura, come buttare i rifiuti per terra. Se questi comportamenti avvengono anche quando si va in montagna, è ovvio che non basterà portare le persone in un bosco per cambiare i loro comportamenti. Sempre più spesso sentiamo dire che che la natura fa bene e bisogna renderla più accessibile. Ma forse anziché pensare a come portare le persone in montagna, dovremmo pensare a come portare la montagna dentro le persone.
Questo significa pensare all’educazione, al cambiamento culturale, che deve avvenire prima di recarsi nella natura. Da questo punto di vista, c’è il rischio che lo sviluppo tecnologico rappresentato da tutte le applicazioni per smartphone che consentono di accedere a mappe satellitari e registrare percorsi finisca per creare uno sfasamento con lo sviluppo culturale della società. Rendere la montagna accessibile a persone che non sanno rispettarla significa renderla troppo accessibile. App, gadget e social network, che si supportano e spingono a vicenda, possono finire col contribuire al grande problema che la tecnologia capitalista ha rappresentato per la natura da trecento anni a questa parte: il suo eccessivo sfruttamento.
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