Ieri, dopo quasi tre mesi di assenza, sono tornato in un bosco. Un vero bosco, vecchio di secoli, non un rimboschimento di cui si ricorda l’origine a memoria d’uomo.
La Riserva Naturale Orientata Bosco della Ficuzza, Rocca Busambra, Bosco del Cappelliere e Gorgo del Drago si trova tra i comuni di Marineo, Corleone e Campofelice di Fitalia. L’area fu per secoli parte dei feudi di Ficuzza, Lupo e Cappelliere. Grazie al suo terreno impervio e roccioso, inadatto all’agricoltura, fu risparmiata dal disboscamento. All’inizio dell’Ottocento, i feudi furono donati a Ferdinando I delle Due Sicilie, che ne fece una riserva di caccia. Nel 1860, con l’Unità d’Italia, l’area divenne proprietà del Demanio. La riserva esiste dal 2000 e protegge due estese aree di foresta mediterranea sempreverde, il Bosco della Ficuzza e il contiguo Bosco del Cappelliere.
Siamo arrivati nella piccola frazione di Ficuzza poco dopo le quattro del pomeriggio. A parte un paio di persone sedute in macchina, l’abitato sembrava deserto. Nel cielo c’era un vasto fronte nuvoloso—un’enorme striscia grigia, scura e pesante, spinta da un vento di maestrale abbastanza sostenuto. Durante il percorso in macchina era caduta qualche goccia di pioggia. Mentre ci preparavamo accanto alla macchina, due bei cani da pastore sono venuti ad accoglierci e quando ci siamo incamminati hanno iniziato a seguirci. Sono rimasti con noi per tutti i 16 km dell’escursione.
Abbiamo attraversato il prato di fronte l’imponente palazzo reale (la cosiddetta Casina di caccia) e poi i campetti sportivi e l’area picnic che si trovano dietro la struttura. Così siamo entrati nel bosco.
All’inizio abbiamo seguito un doppio filare di alberi che era stato evidentemente piantato in epoche passate, tra cui diversi cipressi. Poi siamo finiti in una zona mista di alberi bassi, quasi arbusti, e piccole radure d’erba, dove sul terreno c’era qualche traccia del passaggio di animali che poi scompariva, ma nessun sentiero.
Usciti da questa zona, siamo finiti per un breve tratto sulla grande strada sterrata che porta all’agriturismo Alpe Cucco. L’abbiamo percorsa solo per un breve tratto, perché quasi subito abbiamo imboccato una larga apertura tra gli alberi. Questa “strada” era del tutto libera da piante e il terreno in alcuni punti sembrava essere stato sistemato con delle pietre, magari per consentire il passaggio di carrozze. Ci siamo chiesti se fosse una vecchia via di comunicazione interna al bosco. A un certo punto, sulla destra abbiamo incontrato i resti di un muro di pietra, largo e basso, che proseguiva dentro il bosco perpendicolarmente alla strada. Chissà se si trattava di una vecchia delimitazione della riserva di caccia.
Il vento creava due tipi di suoni. Uno, più vicino, era creato dalle fronde degli alberi che si muovevano attorno a noi. L’altro proveniva apparentemente da più in alto, ma era quasi più forte. Sembrava che originasse dallo scorrere dell’aria sulla roccia di Rocca Busambra, o forse dagli alberi più in alto rispetto a noi, proprio a ridosso delle falde della grande parete di pietra.
Camminando in direzione del massiccio della Busambra, gli alberi sono diventati più grandi. Il bosco alla base della rocca è fitto e il terreno pieno di avvallamenti. Il fondo è interamente ricoperto di pietre di tutte le dimensioni, dai semplici sassi ai massi ciclopici, che sono evidentemente caduti dalla parete rocciosa nel corso dei secoli e millenni. Si tratta di un territorio molto strano, una sorta di misto tra ghiaione e sottobosco. Camminarci dentro non è semplice, e a tratti devo dire l’ho trovato opprimente. Ma non è detto che la natura debba essere per forza un piacere.
Natura e montagna non sono a nostro servizio, nonostante oggi si faccia un gran parlare di tutti i benefici, anche psicologici, che ne possiamo trarre (vedi forest theraphy e montagna terapia). Le iniziative che vogliono valorizzare questi aspetti sono benvenute, ma dobbiamo tenere presente che la loro ottica è fortemente centrata sulla nostra specie (antropocentrismo) e davvero poco sul resto del vivente in quanto tale (ecocentrismo).
Abbiamo proseguito verso la Valle di S. Giorgio. Lungo il percorso, siamo arrivati al sito della cosiddetta “acqua ammucciata” (acqua nascosta), dove un intrico improbabile di massi, molti dei quali enormi, crea una sorta di gola in miniatura. Di acqua non ce n’era l’ombra (era ammucciata).
Poco dopo l’acqua ammucciata, siamo saliti vicino la parete rocciosa, in una luogo dove una radura tra gli alberi consente di osservarne tutta l’imponente bellezza. Il punto si trova molto vicino a una profonda fessura nella parete, la ciacca di Bifarera. Luoghi come questi vennero usati per decenni dalla Mafia di Corleone per disfarsi dei corpi delle sue vittime. Il caso più famoso è quello del partigiano e sindacalista Placido Rizzotto, i cui resti furono trovati nel 2009 in una foiba sulla Busambra.
Nella radura abbiamo notato un paio di pezzi di stoffa color carmine legati a dei rami, che inidicavano un punto ancora più in alto rispetto a dove ci trovavamo. Li abbiamo seguiti, inerpicandoci su un terreno ripidissimo fino all’attacco della parete. Qualcuno aveva costruito qualche gradino conficcando delle tavolette di legno snella terra. In cima abbiamo trovato una piccola edicola votiva con all’interno una statua della Madonna e le foto di due giovani. Mentre commentavamo la presenza di quel piccolo santuario in un luogo così inaccessibile, un grande allocco è volato via da dentro un gruppo di arbusti che crescevano sulla parete, a pochissima distanza da noi. Per un attimo ci siamo spaventati, ma ovviamente siamo stati noi che abbiamo spaventato lui per primi.
Dopo essere scesi dall’attacco della parete, siamo tornati sui nostri passi per un lungo tratto, in direzione della Grotta del Romito. Di nuovo, siamo dovuti salire fino alla base della parete, dove si trova la grotta. Questa volta ci siamo dovuti quasi arrampicare sul terreno, in mezzo ad arbusti e massi, aiutandoci con le mani, a causa della ripidità del punto. Ma lo sforzo è stato pienamente ripagato.
Accanto alla grotta si trova una sporgenza, creata da un ammasso di pietre, salendo sulle quali ci si trova in un punto molto panoramico. La vista verso sinistra è bloccata da una curva nella parete rocciosa, ma il panorama è lo stesso ampio. Dopo avere camminato per ore dentro il bosco—e dopo avere passato mesi in città a causa delle restrizioni anti-Covid—sono rimasto davvero stupito dalla vastità di quella veduta. Il fitto bosco era visibile in tutto il suo splendore. Inoltre, ormai eravamo quasi al tramonto, e la luce del sole basso proveniente da ovest aveva un bellissimo colore rosa-arancio.
Alla fine abbiamo dovuto lasciare quel luogo così suggestivo per fare ritorno verso la macchina. Siamo scesi dalla grotta quasi svicolando sul sedere, aiutandoci con le mani. Una volta nel bosco, è arrivato il crepuscolo, seguito dopo poco dal primo buio della notte.
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