Oggi dopo quasi un mese sono tornato a correre a Monte Pellegrino, il promontorio simbolo della città di Palermo. Questa lunga pausa è stata causata dal caldo eccezionale che ha imperversato per settimane in Sicilia e in tutto il sud Italia. Durante queste settimane, la temperatura di giorno ha raggiunto spesso i 40 gradi. Addirittura, nel siracusano sono stati registrati 48.8 gradi, che se se confermati, rappresentano la temperatura più alta mai registrata in Europa. Questi fenomeni italiani hanno seguito a ruota il caldo anomalo del Canada, dove sono stati sfiorati i 50 gradi, e quello del circolo polare artico, dove sono state registrate temperature simili a quelle di Palermo. Forse non stupisce, quindi, che il mese di luglio 2021 sia stato decretato il mese più caldo mai registrato sul pianeta.
L’ultima volta che ero andato a correre a Monte Pellegrino l’ondata di calore era appena iniziata, ma le temperature erano ancora fattibili (credevo), e io avevo voluto approfittare per fare un’ultima corsa prima della pausa che sapevo ci sarebbe stata, anche se non pensavo sarebbe durata così a lungo. Nonostante tutte le precauzioni del caso, quell’ultima corsa mi aveva comunque veramente stancato.
Correre d’estate in Sicilia non è sicuramente una cosa facile, a maggior ragione quando si fa corsa di montagna, quindi correndo in salita e compiendo dislivelli significativi durante il percorso (ovviamente tutto è relativo—per me i dislivelli che faccio sono significativi). ma anche con 31-32 gradi è fattibile. Nel giorno in questione, però, la temperatura nelle ore centrali della giornata era intorno ai 34 gradi. Anche partendo presto la mattina, si finisce sempre per sforare in queste fatidiche ore centrali della giornata (soprattutto nel mio caso, visto che io uso la bici per spostarmi, e quindi ci metto del tempo). Alla fine di quella corsa, seduto su dei vecchi gradini all’interno del parco della Favorita, esausto e dubbioso che le mie forze mi consentissero di percorrere i 10 km in bici (in salita) che mi separavano dalla mia abitazione, mi sono trovato a pensare quanto fosse assurdo il fatto di non potere svolgere un’attività fisica benefica per il troppo caldo. E ancora non avevo idea delle temperature che avrebbe portato l’anticiclone Lucifero.
Così, dopo quella corsa è passato quasi un mese, fino a ieri. Tornare nell’ambiente semi-naturale di Monte Pellegrino dopo settimane passate chiuso in casa è stato bellissimo. Avevo quasi la sensazione che tutto fosse nuovo, ma allo stesso tempo lo sentivo familiare. Forse era solo la sensazione di riscoprire una cosa bella. L’aria mi sembrava freschissima, anche se sapevo che c’era pur sempre un caldo estivo. Rispetto alle temperature delle ultime settimane, però, quei 29 gradi li sentivo come una primavera o un autunno improvvisi.
Ogni tanto, poi, soffiava un leggero vento di maestrale, soprattutto sul pianoro della Costa Finocchiaro. In quei momenti sentivo tutto il corpo avvolto dal fresco, ed era come se stessi facendo un bagno in mare. Ma era un bagno nell’aria fresca di nord-ovest. O forse era una manifestazione degli effetti benefici di quello che i giapponesi chiamano “bagno nella foresta”. Dal pianoro vedevo come da vicino le grandi nuvole bianche che erano arrivate con il fresco e il vento. E anche in questo caso ho avuto un senso di stupore. Mi è sembrato strano che il cielo non fosse vuoto e lattiginoso come lo era stato per così tanto tempo di recente. Quegli ammassi bianchi che si spostavano e cambiavano forma erano quasi delle peculiari novità.
Lungo la Costa Finocchiaro, però, ho anche avuto modo di vedere tutti gli alberi bruciati dagli incendi che ci sono in quel punto. Si tratta di una grande striscia di terreno che dalla parte più alta del pianoro scende fino al bordo del monte. Quando la vedo mi ricorda sempre le immagini della tempesta Vaia che ha colpito il Trentino nel 2018. Sul Pellegrino gli alberi caduti sono infinitamente di meno, ma se uno si ferma a guardare e a riflettere, si rende conto di come prima dovesse esserci un bel boschetto in quel punto. Adesso c’è un vuoto e una distesa di tronchi a terra.
Gli alberi nella riserva di Monte Pellegrino non cadono solo dopo essere stati uccisi dal fuoco, ma anche a causa dell’età avanzata di molte piante, che non resistono più ai venti. Pochi sanno che la stragrande maggioranza degli alberi che si trovano sul promontorio sono il risultato di progetti pubblici di rimboschimento, alcuni dei quali hanno ormai un secolo. Che alcune di queste piante si perdano, quindi, è in parte inevitabile.
Ma mentre mi trovavo sul monte e attraversavo le zone d’ombra create dal bosco, mi sono chiesto con ansia cosa succederà se le piante cadute non verranno sostituite. Considerato che andiamo verso un futuro molto più caldo del presente, l’idea che gli alberi andranno sempre più a diminuire sul Pellegrino è angosciosa. Il luogo diventerebbe seriamente inospitale per gli esseri umani (e non solo). Le prime avvisaglie di questo scenario si vedono già oggi. Durante le scorse settimane di caldo incredibile, infatti, l’ente gestore della riserva ha diramato quasi giornalmente avvisi tipo quello qui sotto.
Questo avviso riprende le allerte diramate dalla protezione civile regionale e vieta di addentrarsi nella riserva a causa del rischio di incendi e colpi di calore.
Per fortuna adesso si fa un gran parlare di piantare alberi per diminuire il caos climatico causato dai gas serra. C’è da sperare che luoghi come Monte Pellegrino possano beneficiare di questo trend, ammesso che continui nel lungo periodo. Recentemente ci sono stati dei segnali positivi. Il Ministero della Transizione Ecologica ha finanziato due progetti di riforestazione urbana nella riserva, uno che dovrebbe recuperare le aree del monte colpite dal terribile incendio del 2016, e l’altro che interverrà su due zone del Parco della Favorita.
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